Sorta fuori dalla cinta muraria lungo la via per Ticinum (Pavia) e in prossimità del porto fluviale e dell’anfiteatro, la basilica di San Lorenzo Maggiore conserva ancora oggi in gran parte la struttura originaria, nonostante i restauri effettuati tra Medioevo e Rinascimento in seguito ai numerosi crolli della cupola. Le prime indagini archeologiche, condotte nel 1913 e nel 1937, hanno permesso di riconoscere la planimetria dell’originario edificio paleocristiano: un corpo centrale quadrato su cui si aprono quattro esedre affiancate da quattro torri laterali e tre cappelle di forma ottagonale (Sant’Aquilino, Sant’Ippolito e San Sisto). Preceduta da un atrio oggi perduto e da un imponente colonnato corinzio di reimpiego, la basilica è la più antica testimonianza conosciuta di chiesa tetraconca (con quattro pareti ricurve). L’ampio corpo centrale, probabilmente in origine coperto da una pesante volta a padiglione poggiante su quattro pilastri interni, aveva un diametro di ben 47,90 metri; su di esso poggiavano le esedre a semicupola, con colonnato a due piani. Le quattro torri angolari (quella di nord-est è la sola conservata nelle forme paleocristiane) permettevano l’accesso alle gallerie superiori e le ampie finestre del deambulatorio rendevano estremamente luminoso l’intero monumento. Quanto ai materiali di costruzione, l’edificio paleocristiano presentava pilastri di conci di pietra e un paramento murario esterno accurato, con letti di malta bianca di raffinata esecuzione. Superbo doveva essere anche l’apparato decorativo se in età altomedievale San Lorenzo era ritenuta “praticamente la chiesa più bella d’Italia”, come affermato dal vescovo Verano di Cavaillon (VI secolo d.C.) e un esempio dello splendore della città di Milano (Versum de Mediolano Civitate, prima metà dell’VIII secolo d.C.). Ancora nel IX secolo, poi, il vescovo di Alba Benzo ricordava che “non esiste una chiesa più bella di Italia” e, incitandone il restauro, specificava che era “fatta di porfido e oro”. Dunque, che spettacolo doveva avere negli occhi chi varcava l’ingresso della basilica? Grazie agli studi più recenti possiamo affermare che le pareti e i pilastri dovevano essere ricoperti di marmi di svariate qualità, di cui rimangono purtroppo solo schegge e qualche elemento geometrico. Mosaici preziosi ornavano poi la cupola del corpo centrale e delle cappelle di Sant’Aquilino, Sant’Ippolito e San Sisto, come testimoniano le numerosissime tessere vitree trovate negli strati di crollo. Tutti gli ornati erano giocati sui colori del blu, verde, azzurro e oro. Quanto ai pavimenti, l’impianto centrale presentava grandi lastre marmoree, mentre gli ambienti di servizio erano mosaicati a tessere bianche nere. La cappella di San Sisto conserva ancora oggi, subito dopo l’ingresso, un piccolo frammento di pavimento in opus sectile (lastrine marmoree).
La totale mancanza di fonti epigrafiche o letterarie ha reso la datazione e l’attribuzione di San Lorenzo, ritenuta un mausoleo imperiale e/o una chiesa martirale, un problema irrisolto per lungo tempo. Datata tra la fine del IV e la metà del V secolo d.C., la cospicua fabbrica avrebbe comunque risentito delle drammatiche vicende che colpirono Milano nel V secolo d.C. Senza dubbio i sondaggi archeologici hanno chiarito che la cappella di San Sisto, situata a nord e preceduta da un piccolo atrio quadrato, fu edificata in un momento successivo (VI secolo d.C.), come indica anche la tipologia differente di fondazione rispetto a quella dell’intero complesso. L’aspetto straordinario del monumento, la ricchezza degli ornamenti e la consistente quantità del materiale prelevato da numerosi edifici pubblici romani suggeriscono come committente l’imperatore, un suo delegato o un membro della famiglia imperiale: Teodosio, morto a Milano nel 395 d.C., il barbaro generale Stilicone da lui lasciato come reggente o, come vogliono le fonti a partire dal IX secolo, la figlia dell’imperatore Galla Placidia (392-450 d.C.) o ancora suo figlio Valentiniano III (419-455 d.C.).