La basilica paleocristiana ora dedicata a Sant’Ambrogio fu fondata per volere del vescovo stesso non lontano dalla porta Vercellina e dal cimitero ad Martyres, una vasta area collocata nel suburbio sudorientale della città riservata a sepolture cristiane e caratterizzata dalla presenza di piccole celle in memoria dei martiri. Consacrato nel 385-386 d.C. e inizialmente costruito per accogliere la tomba del suo fondatore, il monumento fu innanzitutto destinato alla deposizione delle spoglie dei santi Protasio e Gervasio (martirizzati nel II secolo d.C.) e per questo motivo denominato in un primo momento basilica Martyrum. Sappiamo infatti da una lettera alla sorella Marcellina che la folla impose ad Ambrogio di consacrare la chiesa con la presenza di reliquie: fu così che i resti dei Santi Gervasio e Protasio, rinvenuti miracolosamente dal vescovo presso la basilica dei Santi Nabore e Felice, furono deposti sotto l’altare. Ambrogio stesso vi venne sepolto nel 397 d.C.
Oggi la basilica ambrosiana si presenta nel suggestivo aspetto della ricostruzione avvenuta tra IX e XI secolo. Proprio per i secolari rifacimenti, della primitiva chiesa paleocristiana non si conserva quasi nulla dell’alzato. Si conosce invece la pianta, rettangolare, di dimensioni analoghe a quella attuale con fronte obliqua e abside sul fondo: internamente era ripartita in tre navate. Assai probabilmente la copertura era lignea, a doppio spiovente per il corpo centrale e a spiovente singolo per quelli laterali. All’interno è ancora visibile la base originaria di una delle colonne della navata sinistra (nella seconda campata, presso la colonna del serpente). Di livello altissimo era ancora l’ornato della porta in legno d’ingresso della basilica di età ambrosiana: i due pannelli superstiti, ora esposti al Museo Diocesano, comprendevano ciascuno quattro formelle intagliate con il ciclo delle storie di Davide, scelte da Ambrogio in un momento di durissimo scontro con l’imperatore Valentiniano II. Alla fase più antica della basilica Martyrum, appartiene anche il cosiddetto “sarcofago di Stilicone”, attribuito dalla tradizione al generale dell’imperatore Teodosio ma probabilmente commissionato da un personaggio della corte milanese. Il marmo è scolpito a bassorilievo su ognuno dei quattro lati, con scene che rappresentano episodi della vita di Gesù e con numerosi rimandi simbolici alla vita di fede.
La decorazione del coro era a tarsie marmoree, della quale si conservano le figure di un agnello e di un angelo, ora visibili nell’Antiquarium del Tesoro della Basilica. La zona dell’altare era delimitata da una balaustra in marmo, decorata “a giorno” con un motivo a squame e recante il cristogramma con Alfa e Omega (anch’essa conservata nell’Antiquarium). Anche le quattro colonne di porfido, che tutt’oggi sostengono il ciborio sopra l’altare, sono elementi pertinenti all’antico arredo paleocristiano.
Il vescovo Lorenzo I (490- 510/512 d.C.) operò probabilmente alcuni restauri, tra i quali un primo rialzamento del presbiterio, forse abbellendolo con un pavimento in opus sectile. Vennero inoltre edificate due cappelle funerarie absidate: una di esse è il sacello di San Vittore in Ciel d’Oro, originariamente indipendente rispetto alla chiesa.
Un accenno merita infine la colonna con capitello corinzio collocata in piazza Sant’Ambrogio presso l’ingresso della basilica, denominata dai milanesi “del diavolo”, a causa di due fori che secondo la leggenda sarebbero stati provocati da una testata del Maligno alle prese con il vescovo Ambrogio. Il manufatto, in realtà, fu rinvenuto durante le indagini di fine Ottocento quando fu messo in luce un nucleo di sepolture nelle sue immediate vicinanze. La colonna era allora interrata fino a metà del fusto e inclinata verso ovest: secondo gli archeologi essa era stata reimpiegata come segnacolo di una tomba.