Con la parola horreum (o al plurale horrea) i Romani erano soliti definire i depositi pubblici in cui diverse merci venivano immagazzinate prima di essere distribuite alla popolazione. Inizialmente il termine, che richiamava il vocabolo “hordeum” (orzo), doveva indicare la vocazione primaria di questi edifici, vale a dire lo stoccaggio delle granaglie. La nozione di horrea publica (depositi di derrate alimentari) nacque, tuttavia, solamente con l’istituzione delle distribuzioni frumentarie gratuite ad opera del tribuno della plebe Caio Sempronio Gracco, nell’ultimo quarto del II secolo a.C. Dal punto di vista architettonico, gli horrea erano edifici caratterizzati da una serie di cellae dove venivano stipati i diversi tipi di alimenti e dove alloggiavano gli schiavi incaricati della manutenzione e della custodia degli stessi magazzini. Essi inoltre erano dotati spesso di uno o più cortili con diversi accessi e di pozzi per l’approvvigionamento delle acque. Grazie agli scavi archeologici, sappiamo inoltre che queste fabbriche erano presenti in età imperiale anche negli accampamenti, nei fortini delle province occidentali e soprattutto in prossimità delle frontiere dell’impero, nella Britannia e nella Germania. In questo caso gli horrea, detti militaria, erano il più delle volte installazioni molto semplici e senza pretesa di monumentalità: capannoni di forma allungata e con pavimento rialzato, costruiti con pareti dotate di contrafforti laterali per contenere le spinte delle granaglie stivate e tetto a doppio spiovente. Essi erano riforniti soprattutto dall’annona militaris, la tassa imposta alle province per il mantenimento dell’esercito.