Al centro dell’attuale piazza Missori sorge ciò che rimane della basilica di San Giovanni Evangelista. La denominazione ad concham è presente già nel testamento del vescovo Ansperto (879 d.C.) e allude probabilmente alla leggera depressione del terreno in cui venne costruito uno dei più importanti edifici di culto paleocristiani di Mediolanum. Nell’XI secolo la basilica fu completamente riedificata con le stesse proporzioni dell’impianto originario di V e VI secolo d.C., ma in forma romanica e dotata di una cripta, che costituisce una delle poche testimonianze dell’epoca a Milano. La cripta è oggi l’unica parte superstite della basilica, nuovamente ricostruita nel XIII secolo, dopo le distruzioni dell’imperatore germanico Federico Barbarossa nel 1162. In questa fase l’edificio, affiancato da un campanile alto 24 metri, era internamente diviso in tre navate.
La chiesa piacque ai Visconti a tal punto che nel XIV secolo la inglobarono nel recinto della loro dimora, facendone la propria cappella gentilizia. Nel 1531 Francesco II Sforza la donò ai Carmelitani che vi costruirono accanto il loro monastero e fecero decorare la facciata in stile barocco. Sconsacrata e adibita a magazzini agli inizi dell’Ottocento, San Giovanni in Conca ritornò protagonista delle cronache cittadine dal 1877, quando il Comune decise di far passare la nuova via Carlo Alberto (oggi via Mazzini) proprio nell’area occupata dall’edificio di culto. Fu approvato il progetto secondo il quale alla chiesa “accorciata” di circa metà della sua lunghezza venne applicata in obliquo la facciata rimaneggiata; in questa versione venne venduta alla comunità valdese e reimpiegata come facciata del loro tempio in via Francesco Sforza. Ancora dopo la Seconda Guerra Mondiale “esigenze imprescindibili di viabilità” (la nascita dell’area di piazza Diaz e del tracciato di via Albricci) sacrificarono definitivamente alla modernità l’edificio, di cui furono salvate e restaurate solo una parte dell’abside e della cripta, tutt’ora visibili.
La cripta, suddivisa da dieci colonne di riuso in sette navatelle coperte a crociera, era in origine decorata da affreschi per lo più di carattere votivo, di cui sopravvivono alcuni frammenti databili fra la prima metà dell’XI e la seconda metà del XIV secolo. Oggi costituisce anche un museo delle testimonianze archeologiche più antiche.
Le prime indagini nel sottosuolo riportarono alla luce resti di un quartiere residenziale, caratterizzato da abitazioni di alto livello e situato nell’area sudorientale di Mediolanum in età tardoantica.
L’elevata qualità di una domus, rinvenuta al di sotto delle strutture della chiesa, è testimoniata dal ritrovamento di un mosaico policromo pavimentale, ora conservato al Civico Museo Archeologico, uno dei pochissimi esempi milanesi con motivi figurati. Databile al III secolo d.C., il mosaico rappresenta entro uno schema geometrico a meandro riquadri con animali, tra i quali è completamente conservata la figura di un felino (leonessa?).
Allo stesso edificio doveva appartenere una cisterna in laterizi (larga 6,70 metri) rivestita da cocciopesto impermeabilizzante e alimentata da condutture in piombo, ora musealizzata nella cripta.
Tra V e VI secolo d.C. l’area cambiò destinazione d’uso, diventando un nuovo importante polo religioso e funerario: sulle precedenti abitazioni sorse, infatti, una chiesa ad aula unica absidata (17 x 35 metri) senza suddivisioni interne. Degli ornati della basilica si conserva esclusivamente un frammento di pavimento in opus sectile a esagoni neri e triangoli bianchi, ora appeso alle pareti della cripta.
Attorno alla chiesa si sviluppò anche una necropoli, di cui furono rinvenute diverse tombe. Fra queste, è degna di nota una sepoltura in cassa lapidea affrescata, uno dei rarissimi esempi di pittura paleocristiana conservati a Milano. Datata in base alle caratteristiche stilistiche tra V e VI secolo d.C., essa era addossata alla parete destra esterna della chiesa; oggi è conservata nel Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano.
Sempre sul fianco destro della chiesa sono stati rinvenuti i resti di un sacello funerario, interpretato anche come martyrium di San Castriziano, terzo vescovo di Milano. Nello stesso museo è conservata anche un’imponente epigrafe funeraria in marmo, una delle più illustri testimonianze del periodo longobardo a Milano. Il manufatto fu recuperato durante la demolizione della chiesa nel 1885 ed era la lastra tombale del nobile longobardo Aldo, parente del duca di Trento Evino, cognato della regina Teodolinda, convertito dall’arianesimo al cattolicesimo. Il pezzo si presenta caratterizzato da un’orlatura che originariamente doveva essere intarsiata con pietre e paste vitree colorate. Al centro, invece, una croce latina incavata spartiva lo specchio epigrafico in quattro settori.